“L’Amore vince” … con i manganelli !!! «Poveracci e disperati senza diritto di parola»

da IL CENTRO

foto pubblicata da IL CENTRO

Carlo Marchi, sessantenne sui “fatti di Roma”

(dal sitowww.controaliseo.it)

”Ho aspettato un giorno, un tempo, prima di prendere una penna e dirmi: Carlo, dove sei stato, cosa hai fatto, hai preso un autobus assieme a tanti altri della tua età, gente che ha 40 e 70 anni, ma Carlo che strada hai fatto, Carlo cosa cerchi, dove vuoi andare oggi che hai 59 anni, Carlo forse hai pensato ai ragazzi, a Santa Maria Paganica, ai tuoi amici che non ci sono più, Carlo dove sei andato?”.

Ho visto una donna che con la mano si appoggiava ad uno scudo, non lo spingeva, forse pensava fosse la porta della sua casa che non c’è più, ma no, quella porta si è aperta all’improvviso e ha scacciato violentemente quella donna.

Ho visto quell’uomo con i baffi bianchi arricciati che parlava a quelli con il bastone, ma ne riceveva soltanto silenzio. Il vecchio si è chiesto per quale motivo quel ragazzo che non aveva mai visto ne conosciuto potesse infierire così crudelmente su di lui, con il silenzio, con uno scudo ed un bastone a proteggersi dalle parole.

Eppure quei ragazzi, oggi con l’abito della guerra, nelle notti delle tende ci hanno assistito e vigilavano sulla nostra instabile tranquillità; io a loro ho voluto bene e ancora lo voglio, so che loro non vogliono.

Tutti coloro che erano scesi dall’autobus avevano uno zainetto con l’acqua: l’unico simbolo della propria agiatezza, del proprio potere terreno. Roma città aperta, si diceva una volta, Roma come zona rossa potremmo dire oggi. Inaccessibile alla gente che porge una mano, che ti dice che vuole vivere, che ti fa leggere la sua stanchezza, che presenta le sue menti falcidiate, che sobbalza ogni notte.

La gente ha aspettato paziente nel sole, ha atteso che qualcuno del potere dicesse una cosa, una qualsiasi, rompesse il silenzio dell’uomo in divisa.

Ma se un contadino e un principe si scambiassero i ruoli, il principe si sfinirebbe in due ore. Non vi è nulla al mondo di ciò che appaga.

Gli aquilani, una volta contadini, pastori, Uomini con la U maiuscola, passavano, cercavano di vedere le stanze di un palazzo chiamato Grazioli; mignoravano che esistessero sulla terra cose come le grandi dimore, le stanze riscaldate, le imbottiture di cotone, ma questo desiderio venne loro negato.

La gente della grande città vedeva i vessilli neri e verdi che erano scossi non dal vento, ma dall’ignavia, quella adagiata nelle poltrone di cotone.

Fortebraccio da Montone agitava la sua bandiera, gli altri lo seguivano, e quelli dell’ordine sociale pensavano che quello fosse un vecchio feudatario, proprietario di un borgo ormai fatiscente, inutile da ricostruire. Che la gente di lì emigrasse, e se non fosse voluta andar via che venisse deportata, ma prima malmenata per ricordare l’ordine sociale.

L’ordine sociale chiese agli scriba di raccontare qualcosa. Uno di loro fece come le tartarughe che si rannicchiano nel fango; continuò a scodinzolare nel fango.

Piangevano quei vecchi e non ridevano i giovani in divisa; le lacrime non si sono ancora asciugate perché la gente degli autobus, la gente senza finestre, la gente malata nel ricordo di una notte senza fine, ha capito che non esistono modi per evitare ciò che il fato ha deciso per noi.

Poi la gente è tornata agli autobus, fermi sotto un tunnel, buio, scuro, nero; la sanzione per la disobbedienza, perché chiedere con una bottiglia d’acqua in una mano e nell’altra un vessillo è la lesione alle stanze di cotone.

Ciao gente degli autobus, spero di incontrarvi di nuovo perché il fato si possa rompere.

La bandiera nero-verde sul Parlamento

La bandiera nero-verde sul Parlamento

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